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Pensiero “forte” e pensiero “debole”

A cura di:

Enrico Cerasi (Università Telematica “Pegaso”)
Erminio Maglione (Università Vita-Salute San Raffaele di Milano)

Nel 1501, esponendo per la prima volta in modo compiuto il proprio pensiero filosofico, Erasmo da Rotterdam notava: “Questo genere di filosofia si basa più sui sentimenti che sui sillogismi. La vita è più importante delle dispute, l’ispirazione più dell’erudizione, la capacità di lasciarsi trasformare più della ragione”. Al contrario dei dottori scolastici, che mirano soltanto a confutare l’avversario, riducendolo senza argomenti, con l’unico fine di ottenere la vittoria nella disputa dialettica, il vero filosofo punta a formare il suo interlocutore, persuadendolo a convertire la sua vita alla vera filosofia. La formazione di un carattere è dunque più importante dei sillogismi e la conoscenza delle fonti classiche più della competenza dialettica.

In questo modo il “principe degli umanisti”, nel cuore del Rinascimento, delineava la disputa tra un “pensiero forte” e un “pensiero debole”, vale a dire tra i partigiani del rigore logico-deduttivo e gli amanti della persuasione retorica. Non era la prima volta che nel pensiero filosofico si poneva questa disputa, se è lecito intendere in modo simile la querelle tra Platone e i sofisti; né sarebbe stata l’ultima. In particolare dopo Nietzsche, la cultura europea ha dovuto in vari modi riflettere sul rapporto tra il rigore dialettico e la persuasione retorica, spesso riproponendo – anche senza saperlo – l’alternativa che già emergeva nel passo erasmiano. Da ultimo, la duplice scomparsa di Emanuele Severino nel 2020 e di Gianni Vattimo nel 2023 sembra aver riproposto la vecchia alternativa tra il pensiero forte, logico-deduttivo, e l’argomentazione suasiva. Che cosa dobbiamo intendere per filosofia? La capacità di dimostrare le proprie tesi deducendo in modo logicamente irreprensibile conclusioni dalle premesse, oppure la speranza di offrire una nuova possibilità di vita ai propri interlocutori? In altre parole, sono solo due le opzioni – il rigore scientifico o l’immaginazione poetica – a cui lo statuto della filosofia può ambire?  È possibile immaginare una “terza via” fra queste due istanze?

Del resto, è lecito considerare “forte” il pensiero deduttivo e, di contro, “debole” quello argomentativo? Che cosa vogliono dire, nella tradizione filosofica, le parole “forte” e “debole” applicate alla nostra tradizione culturale? Che cosa definisce la “forza” di un pensiero”? Severino ha spesso ripetuto che forte è il pensiero incontrovertibile, capace di negare la sua negazione. Ma ci si potrebbe chiedere se sia davvero forte un sistema concettuale incapace di incidere sull’esistenza degli individui, soprattutto se con Pierre Hadot ci si ricorda che per gli antichi la filosofia coincideva con la scelta di un determinato modo di vivere. D’altra parte, si può considerare persuasivo un discorso che non sia in grado di garantire il proprio rigore logico?   

Il “Giornale Critico di Storia delle Idee” invita a proporre dei contributi utili a chiarire questo secolare dibattito, con particolare attenzione alla sua genealogia storica e alle ricadute culturali nel panorama intellettuale contemporaneo.  

 

Termine ultimo di consegna: 31 Maggio 2024 

 

I potenziali contributori dovranno inviare i loro articoli, inclusi abstract, keywords e dettagli completi sull’affiliazione accademica ai seguenti indirizzi: enrico.cerasi@unipegaso.it ; e.maglione1@docenti.unisr.it 


 

NOTE:  

 

Non è prevista alcuna tassa di pubblicazione degli articoli per i manoscritti accettati.

 

I manoscritti non devono essere sottoposti a revisione di altre pubblicazioni al momento della loro presentazione alla rivista.

“Strong” Thought and “Weak” Thought

Editors:

Enrico Cerasi (Università Telematica “Pegaso”)
Erminio Maglione (Università Vita-Salute San Raffaele di Milano)

 

In 1501, expounding his own philosophical thought for the first time, Erasmus of Rotterdam noted: “This kind of philosophy is based more on sentiments than on syllogisms. Life is more important than disputes, inspiration more than erudition, the ability to transform oneself more than reason”. In contrast to scholastic doctors, who only aim to refute their opponent, leaving him without arguments, with the sole purpose of gaining victory in the dialectical dispute, the true philosopher aims to educate his interlocutor, persuading him to convert his life to true philosophy. Character formation is thus more important than syllogisms and knowledge of classical sources more important than dialectical competence. 

In this way, the “prince of humanists”, at the heart of the Renaissance, outlined the dispute between “strong thought” and “weak thought”, namely between the partisans of logical-deductive rigour and the lovers of rhetorical persuasion. It was not the first time in philosophical thought that this dispute arose, if the quarrel between Plato and the Sophists is to be understood similarly; nor would it be the last. Particularly since Nietzsche, European culture has had to reflect in various ways on the relationship between dialectical rigour and rhetorical persuasion, often re-proposing – even without knowing it – the alternative that already emerged in the Erasmian passage. Lastly, the deaths of Emanuele Severino in 2020 and Gianni Vattimo in 2023 have seemingly brought back the old alternative between strong, logical-deductive thought and persuasive argumentation. What are we to understand by philosophy? The ability to prove one’s theses by logically deducing conclusions from premises, or the hope of offering a new chance of life to one’s interlocutors? In other words, are there only two options – scientific rigour or poetic imagination – to which the status of philosophy can aspire? Is it possible to imagine a “third way” between these two poles?   

After all, is it legitimate to consider deductive thought “strong” and argumentative thought “weak”? What, in the philosophical tradition, do the words “strong” and “weak” mean when applied to our cultural tradition? What defines the “strength” of a thought'? Severino has often repeated that strong is the incontrovertible thought, capable of negating its negation. But one might ask oneself whether a conceptual system incapable of affecting the existence of individuals is really strong, especially if with Pierre Hadot we are reminded that for the Ancients, philosophy coincided with the choice of a certain way of life. On the other hand, can a discourse that cannot guarantee its own logical rigour be considered persuasive?

The Journal invites useful contributions to clarify this centuries-old debate, with a focus on its historical genealogy and cultural fallout in the contemporary intellectual landscape. 

 

Delivery deadline: 31 May 2024

 

Potential contributors must send their articles, including abstract, keywords and complete institution details, to the following addresses: enrico.cerasi@unipegaso.it ; e.maglione1@docenti.unisr.it

 

NOTES:  

 

Accepted manuscripts are published free of charge. 

 

Manuscripts submitted to the journal must not be sent to other publications for review.

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