Filosofia e generi letterari del XVIII secolo
Si potrebbe scrivere una storia delle forme espressive della filosofia che fosse, al contempo, una storia sociale del ruolo del filosofo? Che una simile domanda abbia trovato sinora scarso seguito non deve forse stupire. Se è vero, infatti, che la proposta di problematizzare i confini tra filosofia e letteratura è provenuta, esplicitamente o implicitamente, da alcune tra le più importanti figure filosofiche degli ultimi due secoli (da Nietzsche e Heidegger a Derrida, Rorty e Cavell), vero altrettanto è che tale proposta è stata formulata, per lo più, entro quadri concettuali che difficilmente avrebbero potuto costituire il punto di partenza di uno studio storico organico. Raccogliendo quindi l’utile sollecitazione di Paolo D’Angelo (2012), proponiamo qui di focalizzare l’attenzione sul concetto di genere letterario. Il retaggio teorico e metodologico del suo ben rodato utilizzo negli studi letterari, oltre a costituire una promessa di rigore, permetterà di approcciare la questione, anziché soltanto attraverso l’interpretazione di singoli autori e opere, anche tramite lo studio delle tendenze e dei contesti costituiti dalle convenzioni, dalle aspettative del pubblico, dai mutamenti tecnologici, economici e istituzionali.
A questo scopo, ci sembra utile identificare un periodo che possa fungere da laboratorio per la nostra questione e la scelta sembra cadere quasi naturalmente sul Settecento. In questo secolo, parallelamente alla concezione della filosofia e del suo ruolo, anche le scelte stilistiche e formali sono sottoposte a una dinamica di sperimentazione che probabilmente non trova eguali nella storia della filosofia. Nel secolo dei Lumi rendere la filosofia “popolare”, rivolgendosi a un vasto pubblico, diventa un obiettivo programmatico fondamentale per il rinnovamento del sapere. Si moltiplicano e diffondono i periodici, con una vasta produzione di letteratura clandestina che circola nonostante i divieti. Le opere vengono discusse nei salotti e sono anzi spesso i loro stessi autori a leggerne in anticipo alcune parti prima della pubblicazione, favorendo il commento critico dei testi. La diffusione del libro cambia grazie ai nuovi formati disponibili. È, in generale, l’intero campo delle scelte stilistiche, dei rapporti tra filosofia e retorica, tra filosofia e generi letterari, a cambiare nel XVIII secolo. Tale cambiamento dev’essere ancora indagato in profondità, sebbene diversi studi recenti, come i lavori di Colas Duflo o le ricerche sulla letteratura clandestina, dimostrino la fecondità di questo tipo di ricerche.
Sarebbe dunque interessante interrogare i generi letterari filosofici del XVIII secolo, individuando per ciascuno delle soglie temporali significative, come ha fatto Guido Mazzoni per il romanzo (2011). Alcuni fanno la loro comparsa per poi imporsi fino all’epoca contemporanea, si pensi al racconto e al romanzo filosofico, mentre altri emergono (o riemergono) per divenire presto marginali, come il romanzo epistolare o il dialogo filosofico. L’affermarsi dell’empirismo modifica profondamente un genere come il saggio, che pure vanta radici che possono risalire a Montaigne; l’utopia trova una nuova forma con la pubblicazione della prima ucronia da parte di Mercier. Anche il genere dell’enciclopedia cambia radicalmente il suo volto sotto l’impulso del successo del progetto di Diderot e d’Alembert. Si trasformano in maniera significativa generi dalle radici ancor più lontane, come il dialogo e le raccolte di aforismi, l’epistola, la satira e lo stesso trattato, l’ammiraglia dei generi letterari filosofici, la cui evoluzione andrebbe analizzata alla luce di quell’esprit systématique che nel Settecento veniva contrapposto all’astrattezza metafisica tipica dell’esprit de système. Interessante sarebbe sottoporre al vaglio la produzione filosofica femminile, il cui protagonismo tocca il suo apice verso la fine del secolo con Olympe de Gouges e Mary Wollstonecraft, per comprendere se e per quali ragioni da parte delle filosofe vi sia stata una preferenza per generi specifici. Di grande importanza sarebbe inoltre investigare anche quei luoghi di elaborazione del pensiero filosofico meno formali o convenzionali, dalla letteratura clandestina, passando per gli epistolari, le biografie e autobiografie di portata filosofica, agli articoli per periodici e riviste culturali, come il famoso articolo di Kant Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung?, o forme letterarie come la poesia e il teatro che, da Diderot a Goethe, furono consapevole veicolo di trasmissione delle idee illuministiche di emancipazione e rinnovamento sociale.
Avrebbe qualcosa da insegnare, una simile storia, sul presente della professione (e della vocazione) filosofica? Non è da escludersi che, dalla prospettiva di un tempo in cui i rapporti della filosofia con l’istituzione universitaria – nonché con quell’unico genere letterario che in essa prospera, l’articolo scientifico – sembrano più saldi di quelli con la cultura nel suo complesso, la varietà e complessità del sistema dei generi filosofici del Settecento appaia un più che salutare promemoria.
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Philosophy and literary genres in the Eighteenth Century
Is a history of the expressive forms of philosophy which is also a social history of the role of philosopher possible? The present lack of an answer to this question is not surprising. It is true that the boundaries between philosophy and literature have been disputed by some of the most prominent philosophical personalities of the last two centuries, from Nietzsche and Heidegger to Derrida, Rorty and Cavell. The conceptual frameworks upon which their claims were based, however, could hardly have provided the point of departure for an organic historical inquiry. To reverse this trend, we suggest following up on, among others, Paolo D’Angelo (2012), and focusing on the concept of literary genre. The work on genres carried out within literary studies offers a theoretical and methodological blueprint for rigorous research. It also directs our inquiry not only towards individual authors and texts, but towards the contexts and tendencies constituted by cultural conventions, technological innovations, audience expectations, as well as their wider economic and institutional structures.
In the search for a time frame capable of providing a suitable testing ground for our question, the choice almost naturally fell upon the Eighteenth Century. Parallel with the claim for a renewed idea of philosophy and its role was the Eighteenth Century tendency to experiment with style and formal choices – a tendency whose intensity has no equivalents in the history of philosophy. In the age of Enlightenment, aiming toward the wider public becomes an actual programmatic goal, and making philosophy “popular” is therefore considered an inescapable aspect of a renewal of knowledge. Periodicals multiply and reach unprecedented circulation, while a vast clandestine literary production circulates despite censorship. Salons offer the opportunity to discuss new, cutting-edge philosophical texts, with authors often invited to read selections from their works ahead of publication. New formats foster the dissemination of books. The whole field of stylistic choices, of the relations between philosophy and rhetoric, and between philosophy and literary genres, changes in the Eighteenth Century. Such changes still need to be accounted for in depth, although recent studies for instance on clandestine literature, have shown the fruitfulness of this field of research.
It would therefore be interesting to analyze the philosophical literary genres of the Eighteenth century, identifying significant thresholds for each. Some, such as the philosophical novel and short story, will endure through the centuries to come, while others will abandon the stage soon after their arrival. The prevalence of empiricism deeply transforms the essay genre, whose roots go back at least to Montaigne. Utopia finds new possibilities with the publication by Mercier of the first uchronia. The encyclopedia radically changes under the impulse of the project by Diderot and D’Alembert. Genres with an even longer history mutate just as radically, for instance the dialogue, the aphorism, the epistle, the satire, and even philosophy’s favorite literary genre, the treatise, whose evolution should be examined through the lenses of the Eighteenth Century pitting of esprit systématique against the metaphysical abstraction of esprit de système. An inquiry into the philosophical production by women – its importance peaking around the end of the century with Olympe de Gouges e Mary Wollstonecraft – would also be significant in order to understand whether and for what reasons women showed a preference for specific genres. In addition, of great importance would be the investigation of such informal and unconventional points of philosophical elaboration as clandestine literature, epistolaries, philosophically inclined biographies and autobiographies, articles for periodicals and cultural journals, for example Kant’s famous Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung?, and literary forms such as poetry and the theater which were consciously used by figures the likes of Diderot and Goethe as vehicles for the emancipatory ideals of Enlightenment.
Would, such history, have something to teach about the present state of the philosophical profession (and vocation)? In a time where philosophy’s relation with academic institutions – as well as with the only literary genre that prospers within them, the scientific article – appears stronger than its relation with culture at large, the variety and complexity of the system of philosophical genres of the Eighteenth Century might represent a more than healthy.
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Philosophie et genres littéraires au dix-huitième siècle
Pourrait-on écrire une histoire des formes d’expression de la philosophie qui serait, en même temps, une histoire sociale et culturelle du rôle du philosophe ? Il n'est pas surprenant qu'une telle question n’ait trouvé, jusqu'à présent, que peu de réponses. S'il est vrai que le projet de s’interroger sur les frontières entre philosophie et littérature, explicitement ou implicitement, a été proposé par certaines des figures philosophiques les plus importantes des deux derniers siècles (de Nietzsche et Heidegger à Derrida, Rorty et Cavell), il est vrai également que cette idée a été formulée principalement dans des cadres conceptuels qui n'auraient guère été le point de départ d'une étude historique organique. Par conséquent, reprenant l'utile sollicitation de Paolo D'Angelo (2012), nous proposons ici de nous intéresser aux genres littéraires. Le concept de genre littéraire, qui a été bien établi par tout un héritage théorique et méthodologique, constitue une prémisse de rigueur, mais en plus permettra d’approcher la question, non seulement par l’interprétation des auteurs et des œuvres individuelles, mais aussi à travers l’étude des tendances et des contextes forgés par les conventions, les attentes du public, les changements technologiques, économiques et institutionnels.
À cet effet, il semble utile d'identifier une période qui peut servir de laboratoire à cette réflexion : le XVIIIe siècle s’y prête tout naturellement. Dans ce siècle, parallèlement à l’évolution de la philosophie et de son rôle, les choix stylistiques et formels font l’objet de nombreuses expérimentations, d’une façon qui n'a probablement pas d'égale dans l'histoire de la philosophie. Au siècle des Lumières, rendre la philosophie « populaire » pour qu’elle s’adresse à un large public devient un objectif programmatique fondamental pour le renouvellement des connaissances. Les périodiques se multiplient et se répandent, la littérature clandestine circule largement malgré les interdictions. On commente abondamment les œuvres dans les salons et ce sont souvent les auteurs eux-mêmes qui en lisent certaines parties avant publication, favorisant le commentaire critique des textes : diffusion, réfutation, etc. La diffusion du livre change grâce aux nouveaux formats disponibles. De façon générale, tout le champ des choix stylistiques - relations entre philosophie et rhétorique, entre philosophie et genres littéraires - a changé au XVIIIe siècle. Ce changement doit encore être approfondi, bien que plusieurs études récentes, comme les travaux de Colas Duflo ou bien les recherches sur la littérature clandestine, montrent la fécondité de ce type de recherche.
en identifiant des seuils temporels significatifs pour chacun, comme Guido Mazzoni (2011) les a repérés pour le roman. Certains font leur apparition puis s'imposent jusqu'à l'époque contemporaine, c’est le cas du conte et du roman philosophique, tandis que d'autres émergent (ou émergent de nouveau) et deviennent bientôt marginaux, comme le roman épistolaire ou le dialogue philosophique. Le succès de l'empirisme modifie profondément un genre comme l'essai, qui remonte à Montaigne ; l'utopie trouve une nouvelle forme avec la publication du premier roman d’anticipation de Mercier. Même le genre encyclopédique change radicalement de visage sous l'impulsion du projet de Diderot et d'Alembert avec le vaste succès qu’on lui connaît. Les genres aux racines plus lointaines sont considérablement transformés, comme le dialogue et les recueils d'aphorismes, l'épître, la satire et le traité lui-même, le genre littéraire philosophique par excellence, dont l'évolution doit être analysée à la lumière de l'esprit systématique qui, au XVIIIe siècle, s'oppose à l'abstraction métaphysique typique de l'esprit de système. Il serait intéressant d'examiner la production philosophique féminine, dont le poids atteint son apogée vers la fin du siècle avec Olympe de Gouges et Mary Wollstonecraft, pour comprendre si et pour quelles raisons il y avait une préférence pour des genres spécifiques de la part des philosophes femmes. Il serait également important d'étudier ces lieux moins formels ou conventionnels où la pensée philosophique est élaborée, de la littérature clandestine, aux épistolaires, des biographies et les autobiographies de portée philosophique, jusqu'aux articles pour périodiques et revues, comme le célèbre article de Kant : Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung?. Encore faudra-t-il examiner des formes littéraires telles que la poésie et le théâtre qui, de Diderot à Goethe, ont été sciemment choisies pour transmettre les idées des Lumières d'émancipation et de renouveau social.
Une telle histoire aurait-elle finalement à nous apprendre sur le présent de la profession (et de la vocation) philosophique ? À une époque telle que la nôtre, où la philosophie semble entretenir des liens plus étroits avec l’institution universitaire – dominée par l’exercice-roi de l’article scientifique – qu’avec la culture dans son ensemble, le XVIIIe siècle offre un rappel plus que salutaire des possibilités ouvertes par la variété et la complexité du champ des genres philosophiques.
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